Studio fotografico

Racconto di fantasia

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    Culetto rosa

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    Cap.1
    Nello studio fotografico


    Nello studio fotografico eravamo cinque fotografi, quattro erano alunni di altre classi.
    Altre quattro persone facevano i modelli e una faceva la parrucchiera, quest ’ultimi erano i miei compagni di classe. Partimmo con tanto entusiasmo, ovviamente la professoressa mi avverti di comportami bene se no avrei ricevuto un castigo. I quattro fotografi si misero subito davanti al set ,chi sopra, chi sotto chi davanti, insomma da ogni parte .
    Io cercai con tutte le mie forze di trovare un posto dove infilarmi per inquadrare il set ma non ci riusci. Ero un po' triste e un po' arrabbiata per questo erano proprio prepotenti, e allora con dei gestacci li mandai a diavolo. Tuttavia non mi persi d'animo, anzi, cercai a mio modo di trovare una soluzione. Mi guardai attorno ed osservai gli oggetti: avevo notato una catena lunga appesa al muro.
    Provai ad arrampicarmi ma mi accorsi che non avrebbe sopportato il mio peso.
    Quindi optai per un tavolo e mi misi a spostalo con tutta la forza ché avevo, verso il set, poi mi tolsi le scarpe, poggiai la macchina fotografica sul ripiano ed infine ci montai sopra ed iniziai fotografare.
    Di lì a poco venni richiamata da un urlo poco promettente. Era l’insegnante che aveva visto la scena. Mi urlò che era pericoloso e di scendere subito dal banco perché potevo farmi male.
    Invece di obbedirle io le dissi di stare zitta e fidarsi di me. Anzi, poteva rendersi utile tenendomi per i pantaloni e invece di sgridarmi inutilmente. In fondo non stavo facendo nulla di male, stavo solo cercando di fotografare.
    La professoressa scosse la testa e mi assecondò.Dopo qualche minuto scesi dal banco per fotografare l’altra l’angolazione del set, quando all’improvviso, la prof mi prese per un orecchio, mi afferrò per i pantaloni e in un attimo mi ritrovai sopra di lei sulle sue ginocchia. Si era seduta sul banco ed Io avevo le gambe penzoloni e il sedere sporgente. Al collo avevo ancora la macchina fotografica.
    La professoressa iniziò a sculacciarmi sul sedere ancora protetto dai vestiti, sgridandomi perché avevo mancato di rispetto.
    I ragazzi vedendo la situazione si ammutolirono ,e si girano verso di noi. Era una cosa un po' surreale. La professoressa incalzava non solo con sgridate e rimproveri ma anche sonore sculacciate. Io per tutta risposta cercavo dì resistere anzi mi venne l’ Idea di fotografare i modelli perché il set si era liberato e dissi ai miei compagni di mettersi in posa e di sorridere mentre venivo sculacciata.Dissi alla professoressa che non era mia intenzione farla arrabbiare o di farle un dispetto, l’Idea di salire sul il tavolo era quella di fare le fotografie dall’ alto dato che non avevo la possibilità di farle in altri punti perché c’erano davanti gli altri ragazzi.
    A sentire quella spiegazione alla professoressa da una parte gli prudevano le mani e avrebbe voluto continuare e picchiarmi per farmi imparare la disciplina, da altra parte le venne da sorridere e si commosse, perché anche se ero molto pestifera ci teneva a me e nella situazione difficile avevo in qualche modo trovato una soluzione. Alla fine decise di prosegue con il meritato castigo.
    Mi abbasso completamente i pantaloni e mutandine ,e restando completamente nuda dalla vita in giù, incalzando con sonori sculaccioni. I ragazzi stavano zitti e muti avevano paura dì prenderle. La professoressa cercava di umiliarmi perché venivo punita in quel modo proprio come una monella di 13 anni in contrapposizione con i miei 19 anni.
    La punizione andò avanti per una decina di minuti, poi mi fece alzare.
    Non avevo pianto a dirotto ma qualche lacrima l’avevo versata.
    Ero talmente orgogliosa che non volevo darle la soddisfazione di farmi vedere piangere.
    Mi accarezzò la schiena e mi indicò la sua scrivania mi disse dì appoggiarmi perché mi avrebbe dato sette cinghiate visto che avevo fatto perdere tempo ai ragazzi che si stavano impegnando.
    Le Ressi abbastanza bene anche se ero arrabbiata con la professoressa avevo capito il suo insegnamento ma non volevo ammetterlo con me stessa. La prof.ssa mi disse che la punizione era finita e che dovevo comunque fotografare altrimenti se no se non avessi fatto delle belle foto avrei preso un due. Dopo la fine della punizione cercai dì fotografare anche se mi faceva male fondoschiena.
    La Campanella suonò e tutti dovemmo consegnare le foto che avevamo fatto.
    Quando venne il mio turno la professoressa era curiosa di vedere come le avevo fatte , soprattutto quelle scattate quando ero piegata su di lei mentre venivo sculacciata sonoramente. Per lei ero una pestifera combina guai, come una Gianburrasca, ma ci teneva a me anche se non voleva esternare i suoi sentimenti.
    PS la volta successiva non mi chiamò a fare il set, ma venni a sapere che fece salire i ragazzi sul tavolo per fare le fotografie dall’alto.
    Non sono mai riuscita a capire perché io venni sgridata pesantemente mentre con gli altri non era cosi severa.
    L’avrei ammazzata per questo suo atteggiamento.

    Edited by H.spank 94 - 2/4/2024, 01:33
     
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    Un po' surreale ma interessante.
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    Maestro delle Sculacciate

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    mi piace questo racconto che vuol essere un disciplinare soft con prof che ci tiene... originale il set fotografico.. e la sculacciata in pubblico ..in teoria la sculacciata dovrebbe provare vergogna qui invece la ragazzetta è un po esibizionista da non aver problemi che la guardino anzi fotografa il suo pubblico.. si surreale ma originale e simpatico... aspetto il prossimo
     
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    Culetto rosa

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    Cap.2
    Gli ideali hanno un prezzo
    Parte I


    Passarono diversi giorni, dopo la sculacciata ricevuta dall’insegnate di fotografia, avevo qualche livido, ma per il resto potevo sedermi comodamente, sentii comunque che la professoressa non aveva calcato la mano, era stata giusta nella punizione, anche se in cuore mio non volevo ammetterlo perché ero cosi orgogliosa e molto testarda. I miei compagni di corso mi dicevano che ero troppo pestifera a risponderle in quel modo, anzi che la prof era fin troppo buona a non darti delle note disciplinari e a non sospendermi per qualche giorno. Io gli rispondevo loro che comunque anche la professoressa era molto severa ,rispetto ad altri che facevano i lecca culo per aver dei favori con i voti di scuola e avere una bella media scolastica. Questa cosa mi faceva arrabbiare tantissimo perché non lo trovavo giusto. Spesso la professoressa dava i voti a preferenza soprattutto alle sue “cocche”, quindi per provare questa ipotesi escogitai un piano con l’aiuto di un concorso fotografico. Si doveva rappresentare al meglio con la nostra visione il territorio della regione. Con la complicità di tre compagne di classe andammo in esplorazione, io avevo la macchina fotografica al collo e dissi alle mie amiche che avrei fatto io anche le foto che avrebbero consegnato loro all’insegnante per il compito. La prima foto la feci ad una casa semi abbandonata con una luce che entrava in diagonale e illuminava la porta, era un po scura ma era molto suggestiva. La seconda la feci a delle stalattiti ricoperte con un po di neve che erano appiccicate al tetto di una casa. La feci in orizzontale ma provai a comporla in maniera angolare seguendo le linee degli angoli. Poi l’ultima era la mia foto e la scattai attraverso un buco in un vecchio muro di pietre. Mostrava una casa semi diroccata in lontananza. Le foto vennero bene, rimasi soddisfatta del lavoro svolto. La prima foto decidemmo che l’avrebbe consegnata Elisa che aveva la media del 5 ed era disperata come me perché anche lei non sopportava l’insegnate e voleva provare che la prof dava voti a caso e non giusti. L’altra ragazza, a cui andò la seconda foto, era una delle cocche della professoressa, si chiamava Monica, aveva la media dell’8. Accettò di partecipare a questo mio piano perchè spesso chiedeva aiuto alla sottoscritta per i suoi scatti, per prendere voti alti visto che volava essere lei la più brava anche se in realtà non lo era. Però era molto abile e astuta come una faina, ma io a quel tempo la consideravo una amica, ero troppo buona per accorgermi che era solo una stronza che pensava solo a stessa. Venne il giorno delle assegnazioni per i voti. Ad Elisa, che aveva la media del 5, venne dato un 5 e mezzo. Io presi 7 (avevo la media del 7 e mezzo) e Monica prese 8. Il mio piano aveva funzionato alla perfezione poiché avevo provato che la professoressa dava voti a preferenza. In quel frangete mi misi a ridere e sghignazzare,con Elisa ero piegata in due, mi faceva troppo ridere la situazione. La professoressa si girò dalla mia parte. Stava sospettando qualche cosa, ma non volle indagare più di tanto. Decise di aspettare qualche giorno prima di indagare perchè sospettava che avessi combinato qualche cosa. Se lo sentiva quando ne combinavo una. L’indagine non durò molto perché durante una discussione su una fotografia, la sottoscritta le confessò quanto accaduto. Con la mia ingenuità le dissi quello che avevo architettato ed il motivo per cui lo avevo fatto. Francamente non pensavo di aver fatto qualcosa di così grave, lo scopo era solo quello di provare la mia ipotesi. Ovviamente la professoressa non la prese benissimo, anzi si arrabbiò e andò su tutte le furie era intenzionata a punirmi in maniera severa ed esemplare. Chiamo vicino la scrivania le altre due allieve coinvolte nell’ accaduto, le sgridò pesantemente perché avevano accettato di essere complici del piano. Ovviamente la sua cocca Monica disse che non c’entrava nulla, che la sua foto l’aveva scattata lei e che la sottoscritta era una bugiarda. In pratica dette tutta la colpa a me per parsi il sedere. Elisa invece confermò che le foto le avevo fatte io e che ero molto più brava di qualsiasi altra persona della classe e che avrei meritato di più. Infine le ribadì che quello che avevo fatto era stato per provare che avevo ragione. In tutta questa storia le uniche punite per quella situazione fummo Elisa ed io. Dopo la sgridata Monica venne mandata al posto senza alcuna punizione, mentre per noi non fu cosi. Elisa dovette pulire lo studio fotografico per un giorno e prese 2 alla foto che aveva fatto. Mentre io subii una punizione esemplare e fu molto dura con me . La professoressa sapeva benissimo che le foto erano state scattare dalla sottoscritta, aveva notato che le fotografie erano molto simili tra loro per via della loro composizione. Voleva e pretendeva il massimo da lei e anche se qualche volta si comportava da pestifera, in cuor suo l’ammirava, anche se non voleva esternare i suo sentimenti. In accordo con il consiglio di classe decise di sospendermi per 2 giorni ma non dalla scuola ma dalle lezioni scolastiche. Voleva che in quei giorni dovevo stare con lei e aiutarla con le sue lezioni. In oltre dovevo pulire lo studio fotografico e prendermi cura e catalogare tutta l’attrezzatura fotografica per una settimana. In quei giorni la professoressa aveva delle ore libere e non aveva lezione. In quelle ore ne approfittò per impartirmi la lezione che aveva in serbo per me, la sua allieva indisciplinata. Avevo comunque preso due per la foto, come la mia compagna. La mattina dopo alle 8 in punto, mi trovai nello studio fotografico. La prof arrivò alle 8,30. Era stupenda, aveva buon gusto nel vestire. Accennò un sorriso e un buon giorno ma io non ricambiai il saluto, ero un pò arrabbiata per la situazione di dover subire quel castigo tanto ingiusto. Lei vedendo il mio atteggiamento si arrabbiò, venne verso di me con aria minacciosa e mi afferrò per i capelli e tirandomi a sè mi disse che dovevo imparare le buone maniere. Mi trascinò nel suo studio e si mise a sedere sul divano, mi fece stendere sulle sue ginocchia cingendomi la vita. Per evitare di farmi muovere mi immobilizzò le gambe tra le sue.Con la mano sinistra mi afferrò i capelli e me li tirò forte e dicendomi con la sua voce forte e severa, ma anche sensuale: ”avrai subito una punizione esemplare come meritano le ragazze monelle e capricciose”. Il mio atteggiamento da monella meritava una bella e sonora sculacciata. Quindi alzò la mano per darmi la prima sculacciata sui pantaloni di velluto.Non mi fece molto male ma sapevo che era solo il riscaldamento, andò avanti per 10 minuti. Non mi parlava stava zitta si concentrava sui colpi, sentivo che il dolore cresceva piano piano. Ad un certo punto la prof mi abbassò i pantaloni e me li portò fino alle ginocchia. Restai in mutande. Da li iniziò la ramanzina: “non ti vergogni? Stai prendendo gli sculaccioni alla tua età. Sei proprio una monella! Devi imparare a rispettare i ruoli insegnate e alunna, vergognati per quello che hai fatto! Sei una disgraziata, ti farò diventare una donna e ti insegnerò come ci si comporta.Tieni, monella che non sei altro”. A quelle parole cercavo di ribattere: “No prof, non mi vergogno perché non trovo giusto il suo castigo. Ci sta che mi sia comporta da monella, le foto del concorso le ho fatte tutte io per farle capire che il suo modo di dare i voti è sbagliato. Io mi impegno tantissimo, ci tengo a diventare una brava fotografa, quindi è lei che sbaglia e non certo io”.

    A queste mie parole incominciò a colpirmi più forte e più velocemente, ma io non volevo arrendermi, volevo dirle tutto quello che pensavo.
    “Io lotto per quello che è giusto e nessuno mi piegherà, sarò una testarda che crede in ciò fa”.

    La professoressa a quelle parole era intenzionata a darmele ancora di più forti, prese le mie mutandine e le tirò giù. Iniziò a rifilarmi certi colpi che sembravano palettate, voleva farmi cedere, voleva che io tacessi. io stringevo i denti e con le mani mi aggrappavo al tessuto del divano. Ero senza fiato e stavo boccheggiando, la professoressa continuava a sgridarmi e prendermi in giro perché mi vedeva in grossa difficoltà, stavo per piangere. Mi voleva umiliare il più possibile per quello che avevo fatto e perché ero disubbidiente e la facevo ammattire con il mio atteggiamento da maschiaccio. Il mio sedere era bello rosso ma non volevo cedere perché ero arrabbiata e orgogliosa, non mi sarei mai piegata a lei. All’improvviso si fermò e mi fece alzare, pensavo che punizione fosse finita e stavo riprendendo fiato ma subito mi accorsi che si trattava solo di una breve pausa. La prof era intenzionata a darmele ancora più sode e prese dalla sua borsa una spessa riga di legno. Mi ritrovai nuovamente sulle sue ginocchia ed iniziai ad essere colpita col nuovo attrezzo. Quei colpi erano devastanti e bruciavano come l’inferno. Iniziai ad urlare dal primo colpo, cercai di stringere i denti per non piangere ma senza riuscirci. Andò avanti per 2 minuti, avrò preso una 50 di colpi ero devastata con i capelli arruffati. Ormai piangevo come una bambina e chiesi scusa per quello che avevo combinato. Ero vinta e umiliata e cercavo di nascondere il viso nell’incavo del gomito per non farmi vedere da lei. Non ero più in grado di reggere i colpi, non mi divincolavo e non urlavo più, sebrava fossi svenuta. Senza che me ne accorgessi i colpi cessarono. Non so quanto tempo fosse passato, sentivo la sua mano accarezzarmi e consolarmi. Anche lei si rese conto che la punizione era stata pesante.
    Dopo qualche minuto la prof, mi stava ancora accarezzando la schiena e le cosce, ero sudata. Mi piaceva quel candido tocco un po materno che sembrava prendersi cura della persona a cui si vuole bene. Una sorta di amore assai dolce che si può assaporare dopo la una cocente punizione ricevuta. L’insegnante mi disse che potevo alzarmi, ma che la punizione non era ancora finita. Mi fece andare nell’angolo per circa 10 minuti per riflettere sui i miei errori, con i pantaloni e la mutandine ancora abbassate fino alle caviglie, schiena dritta e mani sopra la testa. Voleva ammirare il lavoro fatto. Trascorsi i 10 minuti mi fece alzare, mi disse che la prima parte della punizione era finita ma che dovevo attendere la seconda. Ero un po’ in ansia perché avevo molto male al sedere ed avevo difficoltà a mettermi seduta. Mi disse che dovevo aiutarla a fare la lezione, ma che prima avrei dovuto pulire la stanza.

    Edited by H.spank 94 - 2/4/2024, 01:29
     
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    Cap.2
    Gli ideali hanno un prezzo
    Parte Il

    La professoressa si alzò dal divano e aprì la porta, ovviamente la punizione venne fatta a porte chiuse. I muri erano comunque spessi e era difficile udire i colpi e le urla. Chiamò una bidella e le chiese di portare la roba delle pulizie, voleva che la stanza di fotografia fosse pulita da me nei giorni successivi, perché dovevo subire una punizione. Mi fece pulire in terra in ginocchio, poi mi fece pulire i tavoli, gli sgabelli e infine mettere in ordine l’attrezzatura fotografica. Voleva che la stanza fosse pulita visto che gli studenti della terza classe sarebbero arrivati per le 10:00. Erano dei principianti assoluti riguardo la fotografia.
    La prof mi disse che dovevo spiegare come funziona la macchina fotografica e tutti i vari tecnicismi perché questa cosa un giorno mi sarebbe stata utile. Mi minacciò, perché se non avessi fatto bene il lavoro, avrei subito una sonora sculacciata sulle sue ginocchia. Quando arrivarono i ragazzi, lei disse loro che ero lì perchè stavo subendo una punizione visto che mi ero comportata male e le avevo fatto un brutto scherzo.
    Io con il mio orgoglio un po’ ferito, non mi persi d’animo e mi impegnai a fare la lezione al meglio delle mie capacità.
    Durante la pausa mi disse che ero stata brava, poi con un mezzo sorriso sulle labbra, mi chiese se mi faceva ancora male il sedere. Le risposi di si facendole una 😛 linguaccia. Per tutta risposta mi disse che ero una peste e che dopo avremmo fatto i conti.
    Dopo la pausa finimmo la lezione e ne iniziò subito un’altra con la mia classe. Quando mi videro, i miei compagni mi chiesero se stavo bene, sapevano che la mia punizione era di stare con lei e di certo non era una passeggiata. Monica disse alla professoressa che la mia punizione non poteva essere considerata tale perché secondo lei a essere avrei dovuto essere sospesa, per via del mio comportamento grave nei suoi confronti. Ripensando a questa cosa sinceramente mi sarei detta oggi che si doveva fare i cazzi suoi. Per Monica la professoressa era stata un po’ troppo indulgente nei miei confronti. Dal mio punto di vista Monica era troppo invadente ed era lei a non rispettare il ruolo insegnante alunna. Sembrava che fosse una sua collega di lavoro o peggio ancora una sua amica che poteva dispensare consigli.
    Monica era arrabbiata con me perchè gli avevo fatto un torto confessando alla professoressa che le 3 foto ero stata io a farle. Lei aveva fatto una bruttissima figura perché voleva a tutti i costi essere la preferita della professoressa ed essere lodata ed ammirata, rispetto a tutti gli altri.
    Sicuramente il comportamento dell’insegnante nei miei confronti gli faceva rabbia, perchè nonstante tutte le punizioni i rimproveri e le umiliazioni, non mi dava note disciplinari o non mi sospendeva, come invece aveva già fatto con altri.
    Per Monica ero una persona inutile e debole. Una persona priva di significato, anche dal fatto che non ero cosi brillante a scuola. L’unica materia in cui eccellevo era la fotografia. Ovviamente la professoressa non riproverò Monica per il suo atteggiamento, ero io quella che veniva messa in castigo, per le sue azioni anche minime. A quel tempo non capivo che la professoressa mi puniva per il mio bene nonostante talvolta lo faceva duramente. Invece di Monica non le importava, ecco perché gliele dava tutte vinte.
    La professoressa questa volta tenne la lezione personalmente, mi disse che dovevo stare all’angolo seduta sullo sgabello e che dovevo stare buona perchè sennò la seconda parte della punizione che dovevo ancora ricevere, sarebbe stata molto più dura. Mi disse che ero ancora in punizione e dovevo riflettere sulle azioni che avevo fatto per non ripetere un simile comportamento.
    Suono la campanella di fine ora, erano le 13:30 ed i ragazzi iniziarono ad andare via.Io naturalmente dovetti restare anche se avrei voluto scappare via visto che avevo ancora male al fondoschiena. Le mie natiche erano diventate bianche, non sembrava che avessi subito il castigo ricevuto. Mi indicò la sua scrivania e mi fece piegare su di essa. Mi disse che dovevo contare i colpi e chiedere e scusa per quello che avevo fatto, che dovevo inoltre chiedere di ricevere il colpo successo.
    Lo strumento scelto, una canna di bambù chiamata cane, ero molto spessa, almeno 1 centimetro. Il primo colpo arrivò con sorpresa, ero nuda della vita in giù e si formò subito una striscia rossa. La forza era di livello medio non fortissima. Io urlai dal dolore, molto forte e acuto. Andò avanti con il secondo colpo e poi il terzo e il quarto. Io stavo piangendo come una bambina perchè oltre alle bacchettate ricevute c’era il senso di colpa, non volevo ammetterlo a me stessa. Le bacchettate andarono avanti fino a 7 colpi ed ero sconvolta e piangevo chiedendo di essere perdonata. La professoressa vedendo comunque la situazione si commosse, ma voleva che imparassi il vero significato della sua lezione. Mi fece spogliare completamente, un po’ mi vergognavo anche perchè mi imbarazzava molto a farmi vedere nuda da lei. A quel tempo non mi depilavo e mi sembrava una assurda richiesta che comunque accettai.
    Mi fece stende sulle sue ginocchia, ero molto tesa e avevo freddo. La professoressa mi cinse la vita e mi accarezzò la schiena. Avevo il sedere completamente esposto alla sua mercè. Iniziò a rimproverarmi: “so benissimo che il gesto che hai fatto volevi farlo per i tuoi ideali, ma questi ideali potevano essere tali, fino a quando non urtano il rispetto degli altri, soprattutto se viene fatta come hai fatto tu dicendo che io do i voti a preferenza e non considero l’impegno per ogni alunno. Non permetterti mai più di fare una cosa del genere, devi imparare e rispettare il ruolo insegnante alunna.
    Mentre mi stava rimproverando mi riempiva di sculaccioni che man mano che si stavano accumulando il bruciore si faceva sentire sempre di più. Anche a causa dei colpi ricevuti nella precedente punizione. Io stavo piangendo a dirotto, mi sentivo in colpa per quello che avevo fatto anche se le dicevo che quello che avevo fatto era per farle capire che era lei ad aver sbagliato. Ma capivo che anche io avevo sbagliato a fare quello che avevo fatto e meritavo di essere punita.
    Le chiesi di essere perdonata e chiesi scusa per quel gesto che non avrei più rifatto in futuro. Lo dissi quasi urlando, tra i colpi che stavo ricevendo. A quel punto mi sentivo vinta e umiliata sulle sue ginocchia. Continuai a piangere sommessamente.
    La professoressa vendendo la situazione ritenne che il castigo doveva giungere al termine. La sua monella pestifera aveva capito. Vide che il culetto era bello rosso e caldo. Aveva ricevuto tanti colpi. Accanto al divano dove era seduta la professoressa c’èra una coperta molto morbida simile ad un piumino. La prese vi avvolse la sua allieva che era ancora stesa sopra le sue ginocchia.
    Le accarezzerò la schiena e le natiche, lo fece con tale dolcezza per farle capire che l’aveva perdonata.Non voleva ammetterlo a se stessa, ma la ammirava molto quella ragazza che sembrava un maschiaccio sia nel modo di fare che nel vestire e che spesse volte si comportava da pestifera.
    Le piaceva il fatto di volerla educare. Aveva capito che la ragazza mostrava questa sua arroganza, anche perchè era molto fragile e voleva essere compresa. Con il suo atteggiamento fin troppo severo voleva farla crescere a farla diventare una donna con la A maiuscola.
    Doveva accettare se stessa e volare con le sue forze per intraprendere il suo cammino e scegliere il suo futuro. In quel tepore mi stavo appisolando, era cosi bello quel calore umano. Smisi di piangere e mi calmai.
    Dopo qualche minuto la professoressa mi fece alzare e mi disse di rivestirmi. La punizione era finita e potevo tornare a casa. Mi disse che comunque per tutta la settimana avrei dovuto pulire l’aula di fotografia mettere a posto l’attrezzatura fotografica.Un po’ stronza direi dopo quella dura punizione.
    La professoressa mi vide andar via dalla classe e pensò che prima o poi ne avrei combinata un’altra delle mie e lei, naturalmente, avrebbe dovuto educarmi. Tutto sommato l’idea le piaceva. Non sapeva il perché, ma era un rapporto molto strano tra alunna ed insegnante.
     
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    Terzo cap.
    La partita di pallavolo

    Nei giorni successivi dovetti pulire la stanza dello studio fotografico e mettere a posto l’attrezzatura fotografica come richiesto dall’insegnante. È stata molto dura, avevo ancora i segni della canna ma mi sentivo leggera e più serena. Era una sensazione molto strana. Nonostante quel rapporto cosi duro e severo quella donna mi aveva stregato, quando ero con lei o era nei paraggi mi sentivo molto euforica, non saprei spiegare il motivo.
    Avevo cominciato a farmi la doccia tutte le mattine, anziché alla sera, per essere più profumata durante le sue lezioni, anche se mi mettevo spesso le tute per stare più comoda. Queste cose le facevo in maniera inconscia. La professoressa dal canto suo cercava sempre di osservare quello che facevo, se ne combinavo una delle mie perchè sapeva che prima poi ne avrai combinato un guaio e lei avrebbe dovuto educarmi.
    Un giorno la coordinatrice di classe decise insieme ad altri insegnanti di portarci al palazzetto dello sport per vedere la finale della squadra di pallavolo femminile. Vi partecipò anche la professoressa di fotografia ed acconsentì di accompagnare la nostra classe. Io ero contenta ma un po’ arrabbiata. Nel mio cuore avevo questi due sensazioni che erano molto contrastanti.
    La partita iniziò verso le 20. La nostra classe arrivò per le 19 così ci si poteva mettere subito a sedere. Il palazzetto dello sport era abbastanza grande, e c’erano tanti corridoi che portavano alle tribune. C’era perfino da mangiare, panini e bevande a volontà, era un paradiso per gli occhi. Io ovviamente mi portai la macchina fotografica e un paio di obiettivi, quello più lungo e quello più corto, poi capirete il perchè e a cosa mi sarebbero serviti.
    Anche altri miei compagni di classe avevano portato la macchina per fare qualche foto alle giocatrici di pallavolo.
    La partita iniziò: i primi 10 minuti stetti buona seduta e composta, poi ovviamente iniziai ad annoiarmi e decisi di mettermi a fotografare vicino alla ringhiera della tribuna. La professoressa mi osservava da lontano. Incominciai a fotografare il campo e qualche giocatrice con l’obiettivo più corto cioè un grandolare.
    Poiché continuavo ad annoiarmi, mi venne l’idea di fare una sorta di gara con un mio compagno di classe: fare una lista di tutte le giocatrici ed indovinare la rispettiva taglia di reggiseno, utilizzando i teleobiettivi.
    Chiesi aiuto ad Elisa che mi prestò un foglio e una penna e comiciai a fotografare. Il mio amico ero abbasta entusiasta dell’idea perchè cosi poteva vedere un po’ di tette, finalmente, perchè lui era proprio negato con le donne. La professoressa continuava a guardarmi da lontano e gli venne il sospetto, vedendomi con carta e penna, che stessi per combinarne una delle mie.
    Chiese a Monica di indagare e di scoprire cosa stavo combinando. La partita proseguì e io cercavo di fotografare una per una le giocatrici con l’obiettivo più lungo che consentiva di riprendere i particolari (in questo caso le tette).
    Mi sentivo entusiasta, vedevo che avevano una bella forma compatta e voluminosa. Ammetto che era una cosa molto surreale. Alla fine del primo set avevo fotografato le giocatrici e tramite le foto avevo stilato la mia lista. Anche il mio amico era riuscito nel suo intento. Ma per avere la conferma dovevo escogitare un piano: dovevo trovare il modo di parlare con le giocatrici.
    Alla fine del secondo set esse fecero una breve pausa rientrando negli spogliatoi perché Il bordo campo purtroppo era inagibile e non potevano starci. Mi venne l’idea di raggiungerle, con il foglio in mano e la macchina sottobraccio, come se fosse la mia bambina. La professoressa vedendomi andare via decise di scoprire cosa stavo combinando. Disse alla sua collega che sarebbe andata in bagno e mi seguì di soppiatto.
    Io ero entrata abbastanza furtivamente nello spogliatoio delle giocatrici ed ero riuscita a convincerle a farmi un autografo sul mio reggiseno e di scrivermi la loro taglia di seno a mo di scherzo tra ragazze e che questo poteva essere un portafortuna per la loro vittoria.
    Ero riuscita nel mio intento, ero molto soddisfatta tornai sulla tribuna dove c’erano i miei compagni di classe. La professoressa nel frantempo andò nello spogliatoio delle ragazze a chiedere delle spiegazioni. Le giocatrici gli dissero quello che era successo. La professoressa rimase un po’ sconvolta, le prudevano le mani e pensò che ero proprio una mascalzona sfacciata. Pensò che dopo avrebbe fatto i conti con me. Secondo lei l’avevo combinata grossa questa volta.
    Nel frattempo avevo mostrato il reggiseno con autografi delle giocatrici a mò di prova e stavo vedendo se ero riuscita a indovinare tutte le taglie. Ovviamente la gara la vinsi io e mi misi a ballare e saltare dell’eccitazione mandando a quel paese il mio amico e che era riuscito a indovinarne solo la metà.
    Monica e il resto dei miei compagni, vedendomi ballare con il reggiseno in mano rimasero un po’ esterrefatti. Come se non bastasse la squadra delle giocatrici vinse la partita e il cameraman mi inquadrò mentre ballavo con l’intimo in mano.
    Naturalmente la professoressa vide tutta la scena, ora aveva una nuovamente una buona ragione per punirmi perché entrando in tribuna e mi vide ballare e saltare con il reggiseno in mano. Ad un certo un punto mi sentii tirare un orecchio e questo mi riportò alla realtà. Mi voltai e vidi la professoressa arrabbiata nera con me. Mi trascinò via sempre tenendomi per l’orecchio e mi portò in una stanza attigua agli spogliatoi perché, disse, doveva parlarmi in privato.
    Sapevo benissimo cosa sarebbe successo. Questa volta le avrei prese sode e come se non bastasse, dalla punizione precedente avevo ancora i segni e mi faceva ancora male il fondoschiena. “Ma è mai possibile che non faccio in tempo a girarmi per guardare i tuoi compagni di classe che tu riesci a combinare un guaio? Sei peggio di un maschio”. Le dissi che io non ero un maschio e non avrei mai voluto esserlo. Ero semplicemente me stessa e le chiesi se era proprio necessario castigarmi per quello che avevo fatto. In fondo stavo semplicemente fotografando le giocatrici.
    Lei mi rispose cosi: “Che mi dici della scommessa con il tuo compagno di classe?”. A quel punto fui io a rimanere meravigliata e chiesi alla prof come faceva a sapere di questa cosa. “Non sono affari tuoi, lo so e basta.”
    Io risposi che erano affari miei eccome visto che lei era intenzionata a suonarmele.
    Lei per tutta risposta chiuse la porta a chiave, mi trascinò a forza sulle sue ginocchia e mi bloccò il braccio con la sua mano sinistra e le gambe con la sua gamba destra per non farmi muovere. Inizio a rifilarmi tante sculacciate sul sedere ancora protetto dalla tuta e dalle mutandine. Nonostante questo sentivo molto dolore a causa dei lividi che mi erano rimasti dai giorni precedenti. Bastava davvero poco per farmi male.
    Era terribile che una semplice sculacciata a mano nuda mi devastasse in quel modo. Iniziai ad urlare e a protestare perché non lo trovavo giusto “prof non è giusto che mi sculacci cosi per favore sono una donna oramai, perchè non picchi anche il mio compagno di classe anche lui a fatto parte della scommessa” la prof mi ripose che “quella da punire ero io e che il fatto che dicessi che ero una donna lo dicevo perchè le stavo prendendo e dovevo assumermi le mie responsabilità ero una digraziata e per giunta pestifera.
    A quelle parole mi tirò giu i pantaloni e le mutande. Ero completamente nuda dalla vita in giu. inizio a sculacciarmi con rigore e forza, quella mano castigatrice non si voleva fermare. Io ero disperata ma avevo comunque la forza di protestare. “Lei mi sta punendo perchè ho fatte le foto alle giocatrici e per via della scommessa. Se fossi stata maschio non starei sulle sue ginocchia a prenderle, lo fa solo perchè sono donna”. La prof si arrabbiò ancora di più e mi disse: “non è che le stai prendendo perché sei una donna, le stai perdendo perché sei una sfacciata e una monella pestifera e mi fai ammattire! Sei una disgraziata, hai la capacità di metterti nei guai in modo fantasioso e non è da tutti, monella che non sei altro”. La professoressa non voleva farlo vedere ma sorrise all’idea di come avessi architettato la scommessa e di come avevo coinvolto le giocatrici nel farmi fare gli autografi. Pensò che discola che ero, ma c’era un fondo di affetto e di stima.
    Nonostante questo la punizione continuò e con essa la sgridata fino a quando ne ebbe la forza.
    Aveva già smesso da qualche minuto ma io continuavo a piangere perchè tutto sommato mi dispiaceva di averla fatta ammatire. Non è che lo facevo per cattiveria, le idee mi venivono cosi, in modo naturale come quando scatto le fotografie perchè mi da piacere ed è l’unica cosa che so fare e che mi viene in maniera naturale.
    La professoressa mi accarezzava la schiena e il culetto che era rosso e molto dolorante. La punizione poteva sembrare non tanto severa, ma era stata comunque dolorosa dato che avevo ancora i segni della canna e qualche livido. Prenderle in quelle condizioni era stata parecchio dura nonostante fosse una semplice sculacciata a mano nuda.
    Non mi resi conto di quanto tempo fosse passato. Mi prese per le spalle e mi fece girare. Mi ritrovai abbracciata a lei con la testa sulla sua spalla. Mi accarezzava i capelli dolcemente.
    Dopo un po' mi fece alzare e si alzò in piedi anche lei. Voleva controllare i segni sul mio culetto.
    Prese dalla borsa una pomata lienitiva e me la massaggiò sulle natiche per darmi un po’ di sollievo ma in realtà brucciava più le crema che tutte le sculacciate ricevute, accidenti!
    Ora era tempo di rivestirmi, bisognava andare in tribuna per festeggiare la vittoria delle pallavoliste a cui avevo dato un contributo, per così dire, per la loro vittoria.
    Quando uscimmo dalla stanza la bigliettaia mi guardò e fece un leggero sorriso di scherno. Evidentemente aveva spiato dal buco della serratura, che marpiona! La mandai affanculo di tutto cuore e ovviamente la prof si arrabbio di nuovo con me. Per punire anche quest’ultima cosa che avevo fatto, mi disse che dovevo scrivere per 100 volte la seguente frase: “Non devo insultare le persone”. Avrei dovuto portare i fogli con le frasi scritte per la prossima lezione. In più sarei stata interrogata su due capitoli del manuale di fotografia.
    Se non avessi fatto tutto per bene mi sarei presa un due.
    Ma tutte a me capitano!!!
    P.S. Il compito lo feci, scrissi tutte e 100 volte la frase solo che lo feci con una leggera variazione: “Non devo insultare le persone ma se necessario sì”. Vi lascio immaginare come reagì la prof.
     
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    Culetto rosso

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    Che bello questo capitolo, originalissimo.
    Mi sono divertita. Brava!
     
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    Maestro delle Sculacciate

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    Bello, originale e sfacciato.
    Anche il finale lascia aperta una 🚪 porta per il prossimo racconto.
    L'unica domanda.... quando?
     
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7 replies since 13/11/2023, 00:34   1619 views
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